ARPA CELTICA

L’Arpa è sicuramente uno degli strumenti più misteriosi e affascinanti.

Sulla base di studi filologici, essa figurerebbe fra i primi strumenti musicali comparsi sulla Terra, insieme al tronco cavo percosso ed al flauto “di Pan” o “siringa”. Diretta “figlia” del “berimbaoo”, pare sia nata da un semplice arco da caccia. Si scoprì infatti che pizzicando la corda tesa di un arco essa produceva un suono e che, più la corda veniva accorciata, più il suono prodotto diveniva acuto. Tutto lascia intendere che la collocazione geografica ove apparve per la prima volta l’Arpa sia attribuibile all’antica e vasta area mesopotamica. Fra l’altro, nell’antico biblico testo della Genesi, scritto da Mosé e risalente a circa 5000 anni a.C., è narrato di un tale Iubal, “il padre di tutti coloro che suonano il flauto e l’arpa”. Su un vaso sumero risalente a circa 3000 anni a.C. è riprodotta la più antica testimonianza visiva di un’arpa. Nel Museo Britannico è conservata un’originale arpa sumera del 2500 a.C., ed essa è arrivata sorprendentemente intatta fino a noi. L’Arpa primitiva non era provvista di cassa armonica. La sua struttura era minimale, composta da un semplice bastone ricurvo o “ad elle” sul quale venivano legate e tese poche corde rudimentali.

Quando si parla di Arpa Celtica, in effetti includiamo l’Arpa irlandese (“clarsech”, o “clarsaich”), scozzese, gallese, bretone ecc… L’Arpa Celtica, inclusa fra le arpe dette “a telaio”, è in sintesi un’Arpa non cromatica, a differenza della famosa arpa “Erard” o classica nata nel diciottesimo secolo e provvista di pedali per i cromatismi, quella che siamo abituati a vedere in orchestra. L’Arpa Celtica, suo precursore, è costituita basilarmente da una cassa armonica, una tavola armonica, una mensola con colonna solitamente in duro e flessibile salice, e una serie di corde. Personalmente, per la realizzazione dei miei concerti e di produzioni discografiche utilizzo sei tipi di arpe, e vorrei illustrarvele, avendo ciascuna di esse alcune personali peculiarità. Comincerò quindi descrivendovi “Angelica”, la mia fidata Arpa irlandese nonché più frequente compagna di viaggio.

Arpa Irlandese “ANGELICA”
Angelica - Arpa Irlandese

Arpa Irlandese “ANGELICA”

Di autentico modello “John Egan 1835”, è detta anche “Arpa di Tara”. L’antica capitale irlandese di Tara, oggi sostituita con Dublino fu, a metà del 1800, città simbolo dell’Indipendenza dall’occupazione anglo-normanna. L’Arpa irlandese fu la prima ad apparire in Europa, e ciò avvenne nell’alto Medioevo europeo, nei primissimi anni del secolo VIII. Dall’Irlanda, l’Arpa romanica –sua diretta “figlia” secondo il Musicologo Kurt Sachs, importò nel resto dei Paesi europei le prime musiche popolari caratteristiche dello strumento. Questa Arpa dal suono particolarmente dolce e penetrante, prodotta dal Maestro Liutaio Guido Galeazzi, è realizzata affiancando le particolari caratteristiche dei modelli più antichi ad alcune innovazioni proprie delle arpe a pedali. Essa ha il pregio inoltre d’essere stata il primo modello provvisto di quattro piedini al fine di poggiarla direttamente al suolo: le precedenti arpe infatti non stavano in piedi autonomamente ma venivano appoggiate al corpo del musicista o fissate saldamente a uno sgabello. E’, in sintesi, la tipica Arpa Celtica oggi più conosciuta.

Morgana – Arpa a testa alta
Morgana - Arpa a testa alta

Morgana – Arpa a testa alta

Anch’essa strutturata secondo i criteri dell’Arpa Celtica tradizionale, è provvista di colonna sagomata a “T” come l’Arpa Medioevale detta “a testa bassa”, ma con la mensola protesa in fondo verso l’alto, peculiarità questa dell’Arpa “a testa alta”, e ciò per consentire alle corde gravi maggiore lunghezza e sonorità. La incontrai alcuni anni fa casualmente, dimenticata accanto a una finestra murata in un remoto negozio di strumenti musicali di Varsavia. Vi ero entrato mentre, in attesa del concerto che avrei tenuto quella sera stessa, passeggiavo solitario lungo le strade nella nebbia. Il suono che produce è delicato, leggermente “ovattato” e cupo, probabilmente più simile al tenue effetto sonoro prodotto da un’antica Arpa Scozzese. Per le succitate caratteristiche timbriche è molto utile e versatile per l’esecuzione di linee melodiche di contrappunto, oltre che per delicati arpeggi a sostegno di sognanti antiche ballate.

Maya – Arpa a 22 corde
Maya - Arpa a 22 corde

Maya – Arpa a 22 corde

Piccola Arpa a ventidue corde, fu la prima ad accompagnarmi. Il suo nome è dovuto ad un episodio ameno accadutomi nel ’91: stavo tranquillamente suonando seduto solitario a gambe incrociate sopra una roccia, rivolto verso il torrente sottostante. Scelsi quel luogo perché più in basso dei contadini avevano acceso un grande falò per bruciare una catasta di rovi. Essendo io un amante di quei naturali profumi “affumicanti” -pur se non molto sani da respirare, mi immersi in quel nuvoloso effluvio con la mia Arpa. Dopo un po’ di tempo udii dei rumori e mi accorsi che alcuni viandanti, rari per quel ripido percorso, s’erano fermati incuriositi a ascoltare: non si spiegavano la provenienza di quella musica! Attraverso la nebbia fumosa ci scorgemmo reciprocamente e mi dissero: “E’ un’immagine inaspettata! Incredibile… Prima la musica lontana… poi appari appena, avvolto in questa nuvola, col tuo strumento! Pareva una scena incantata… un’Illusione!” Da qui il nome emblematico dato alla mia prima Arpa, “Maya”, che dall’antico sanscrito si traduce “Illusione”. Strumento di fabbricazione Camac, dimostratosi molto pratico grazie alle piccole dimensioni, mi è ancor oggi molto utile per coreografiche esecuzioni musicali in movimento. Vi era, a tal proposito, nei monasteri irlandesi dell’alto Medioevo –intorno al 1100- uno strumento simile per dimensioni che contava nove o dieci corde. La minuscola Arpa era chiamata “Cruit” (da non confondere con l’omonimo strumento suonato ad archetto, simile alla lira), ed era un’Arpa portatile. Agganciata al corpo del monaco musicista itinerante tramite una cintura, veniva suonata accompagnando laudi e preghiere a volte in processioni, o semplicemente come invito al raccoglimento prima di una funzione religiosa. Fra i parenti più prossimi all’Arpa detta “Cruit” vi è appunto la piccola Arpa celtica a ventidue corde che vedete riprodotta nella foto qui a seguire.

ARPANETTA “Medea”
ARPANETTA “Medea”

ARPANETTA “Medea”

Chiamata in tedesco anche “Spitzharfe”, è una sorta di Arpa-salterio provvista di tavola armonica. Questo curioso strumento fu molto popolare in epoca settecentesca. Si suona poggiata sopra un ripiano, oppure tenendola in grembo. Personalmente utilizzo un’Arpanetta a doppia fila di corde in bronzo, con cassa armonica estesa in altezza fra le due file, opera del grande Maestro Liutaio Michele Sangineto. La sagoma dello strumento ricorda vagamente la tavola armonica di un pianoforte a coda posta in verticale, ed il suono delle sue corde pizzicate è molto simile al rintocco vibrante e caldo delle campane d’una cattedrale.

Arpa gotica “NOTRE DAME”
ARPA GOTICA “Notre Dame”

Arpa gotica “NOTRE DAME”

Arpa dalle imponenti dimensioni la cui cima della mensola, protesa verso il cielo ed anche in ciò fedele alla concezione gotica, raggiunge i due metri e dieci superando in altezza finanche l’Arpa classica. L’Arpa gotica ha una sagoma snella e slanciata, e risale al periodo compreso tra il XIV e il XV secolo. Essa veniva molto impiegata per l’esecuzione di musiche a carattere sacro. A differenza di questa, la tozza e massiccia Arpa romanica -che fece la sua prima apparizione già nell’VIII secolo, era destinata perlopiù all’esecuzione di musiche popolari. Sebbene le Arpe gotiche siano state in origine dotate di corde in budello, quest’Arpa, Notre Dame, opera del Maestro Liutaio Guido Galeazzi, è provvista di 40 corde in bronzo fosforoso e, grazie a questo tipo di corde e ad una cassa di risonanza particolarmente voluminosa, produce un suono corposo, arcaico, intenso, notevolmente armonico, di potente impatto emozionale e nel contempo assai soave e delicato.

Arpa classica “ELISA”
Arpa classica “ELISA”

Arpa classica “ELISA”

Chiamata oggi col nome della mia amata compagna e nota nel secolo XIX come “Ultramarine”, nasce nel febbraio del 1819 a Londra, ad opera del Maestro Liutaio costruttore di clavicembali Sebastian Erard, uno dei padri-ideatori oltre a Naderman, Cousineau, Chaliot, Chatelain, al bavarese Arpista-liutaio Hochbrucker, di tutte le odierne arpe classiche. Avvenne che il noto compositore parigino Krumpholz, rivolgendosi a Sebastian Erard, chiese se fosse possibile modificare la meccanica della mensola affinché le corde restassero allineate l’una rispetto all’altra in fase di alterazione. In altre parole, poteva un grande costruttore di clavicembali ideare un sistema per non spostare la corda alterata evitando che questa si spostasse verso un lato? Dopo averci a lungo riflettuto, Erard progettò il sistema a “forchette”, utilizzato nella costruzione delle attuali arpe classiche. La Liuteria Erard offrì a tutto il mondo e per tutto il secolo delle meravigliose Arpe dal suono dolce e romantico. L’Arpa che utilizzo, di stile Impero, ha tavola armonica parzialmente allargata nei bassi ed è provvista di 43 corde.

Cetra Celtica “ABI HARI”
Cetra Celtica “ABI HARI”

Cetra Celtica “ABI HARI”

Ogni tanto qualcuno mi chiede: “Perché hai scelto proprio l’Arpa, come strumento?” Ebbene, prima di iniziare a suonare l’Arpa una ventina d’anni fa suonavo la Cetra celtica. In effetti questo tipo di cetra è una sorta di piccola arpa da tavolo, posta in modo orizzontale o leggermente reclinata rispetto all’esecutore. La Cetra che utilizzo, di fabbricazione germanica, è provvista di settantaquattro corde doppie in acciaio, disposte in fila sopra una sottile cassa armonica. Le corde vengono pizzicate con le unghie oppure con “finger picks” in metallo, una sorta di plettri applicabili alle dita tramite anello. Il tocco produce un tipo di sonorità particolarmente vibrante, nitido e penetrante. L’effetto sonoro procurato dall’esecuzione su questo suggestivo strumento è particolarmente udibile in alcune musiche di mia composizione, fra le quali segnalo: – “Canzone per la Regina Abhi Rama” – “Il Grido del Silenzio” – “Novembre” Questi tre titoli sono contenuti nell’onirico album “Anusmara”.

Cetra Austriaca “FRANZ”
Cetra Austriaca "FRANZ"

Cetra Austriaca “FRANZ”

E’ un tipo di Cetra molto singolare, la cui cassa armonica misura appena poco più di trenta centimetri. Con struttura “a goccia”, ha una tastiera tozza e larga che conta 5 tasti ed è provvista di 14 corde doppie in acciaio. La utilizzo in prevalenza servendomi di uno “slide” lungo in metallo e disponendo le corde dello strumento secondo la modalità di accordatura detta “aperta”. Pare che questo tipo di Cetra risalga agli ultimi decenni del XVIII secolo; esso produce, nonostante le piccole dimensioni della cassa di risonanza, un suono potente e deciso, ricco di armonici e molto coinvolgente.

rinascimentale “PRINCIPE”
rinascimentale "PRINCIPE"

rinascimentale “PRINCIPE”

Realizzata dal Liutaio Paolo Albertini, è un modello insolito che raccoglie in se alcune caratteristiche principali della chitarra classica, ma con la sagoma frontale della cassa armonica tipicamente rinascimentale. Sulla tavola armonica anteriore presenta due “rose” finemente intarsiate ai lati delle corde, mentre la tavola posteriore è piatta rendendo, diversamente dalla struttura bombata tipica del liuto che prevede per il musicista una posizione seduta, più agevoli le esecuzioni musicali in piedi. Il suono si presenta nitido e aperto, vagamente nasale come tutti gli strumenti aventi simile struttura di cassa armonica con sagoma “a goccia” – liuto, bouzouki, mandola, mandolino, saz, chitarrone, tiorba ecc…

Chitarra
Chitarra

Chitarra

La Chitarra (dal greco “kithara”), strumento che tutti noi conosciamo, ha una lunga storia che per motivi pratici proverò a sintetizzare. A partire dal secolo XIII vi sono testimonianze di una guitarra moresca d’origine persiana, e di una guitarra latina derivante dalla fidula, antico strumento ad arco. Fino al secolo XVIII ebbero un posto rilevante alcuni tipi di vihuela, fra cui la vihuela de mano, una sorta di chitarra a pizzico con cassa armonica a fondo bombato, e la vihuela de penola, strumento suonato a plettro. Entrambe erano dotate di 5 o 7 corde singole. Nel corso del precedente secolo furono in uso chitarre aventi un ordine di 4 – 5 corde doppie: solo a partire dal secolo XVIII furono definitivamente dotate di 6 corde semplici. E’ col secolo XX che la chitarra aumenta notevolmente di popolarità fra i giovani musicisti sia come strumento solista che da accompagnamento.

Liuto Rinascimentale “Reginaald”
Liuto Rinascimentale "Reginaald"

Liuto Rinascimentale “Reginaald”

Il Liuto fu introdotto in Europa nel Medioevo dagli Arabi, ma sulla base di ritrovamenti archeologici risulta essere d’origine ben più remota: lo strumento, con strutture arcaiche e primitive (guscio di tartaruga, zucca scavata, sagome di animali simbolici ecc…) era già presente presso le antichissime popolazioni dell’area mesopotamica, fra cui i sumeri che lo adottarono addirittura come loro strumento nazionale. Il Liuto che utilizzo, e che vorrei descrivervi, è stato realizzato dalla storica Scuola di Liuteria di Cremona, ed è una fedele ricostruzione dall’antico modello rinascimentale. Dotato di 7 cori, ha un’ampia cassa dalla forma panciuta costituita sul retro da doghe, e sulla tavola armonica una rosa traforata sostituisce il semplice foro di risonanza. Le tastature sono di minugia ed il cavigliere (o paletta) è rivolto ad angolo retto all’indietro rispetto al manico. Dal XIV secolo e fino a tutto il XVI secolo divenne in Europa uno dei principali strumenti musicali, sostituito poi dagli strumenti a tastiera per la loro maggiore sonorità e semplicità di esecuzione. Con esso venivano eseguiti madrigali, motetti ed altre composizioni polifoniche, che si trascrivevano attraverso le cosiddette “intavolature”, oltre a danze, preludi, ed accompagnamento a brani cantati. Nel XX secolo il Liuto ha vissuto, pur se relativamente, una rinnovata diffusione in molte sale da concerto. Come indica in senso etimologico il nome stesso, “Lauto” ( = da cui l’odierno “liuto”) significante “raro, magnifico, nobile, elevato e prezioso come oro”, questo strumento raffinatissimo è caratterizzato acusticamente da un volume talmente pacato e da una timbrica talmente delicata e ricercata, che per poterlo apprezzare pienamente è richiesta al sensibile ascoltatore particolare attenzione. Ciò è dovuto anche al fatto che le doghe costituenti il retro della cassa sono formate da una serie di fragili fascette sottili in legno scelto, unite l’una all’altra sul retro da un leggero strato di cartapesta, o di pergamena, o di lino. Questa curiosa antica tecnica di costruzione, utilizzata anche per la cassa armonica delle prime viole da gamba, contribuisce a generare un tipo di suono sì lieve ed etereo, ma incredibilmente suggestivo. Personalmente eseguo con il Liuto arpeggi accompagnandomi al canto, ed il suo delicato suono si può ascoltare in alcuni brani, di cui segnalo i seguenti: -“Mahai” contenuto nell’album di gusto Weltanschauung “Sulla Grande Nave” -“Zuogia gentil” (musica originale del secolo XVI, con testo attribuito ad Angelo Beolco detto “il Ruzzante”) -“Bell’oselino che de ramo in ramo” (testo originale del secolo XVI, attribuito al Beolco) contenuti entrambi nell’Album d’impronta storica “Antiquae Artes”

Salterio Gotico “HIMMEL”
Salterio Gotico "HIMMEL"

Salterio Gotico “HIMMEL”

Nell’ampia varietà dei Salteri conosciuti attraverso i secoli è forse questo (oserei definirlo) il più tipicamente “gotico”. La storia della musica attraverso i millenni ha conosciuto svariate tipologie di Salteri: il Salterio a bastone in diverse varianti -fra cui il tubolare idiocorde con corda montata su un tubo cavo; o l’arco musicale con risonatore chiamato anche bumbass (una versione greca del ben più antico berimbaoo); o ancora il Salterio a zattera, frequente nell’antica India e in Africa, che vedeva affiancati insieme più tubolari idiocorde di varia lunghezza. Si sono quindi sviluppati in modo progressivo i cosiddetti Salteri a cassa “con tastatura”, “senza tastatura” e con meccanica “a tastiera”. Dai Salteri a cassa “con tastatura” derivano i numerosi modelli della moderna Cetra da concerto, ed analoghi strumenti popolari presenti nella storia musicale di Francia, Norvegia e Svezia. Dai Salteri a cassa “senza tastatura”, sorti in epoca medievale quando le antiche arpe e lire vennero dotate di una tavola armonica, prende vita sia il Salterio vero e proprio (psalterium), pizzicato con il plettro o direttamente con le dita, che lo Hackbrett, salterio tedesco percosso con bacchette ricurve. Vi è poi il Cimbalo ungherese, anch’esso percosso con bacchette, ma collocato su quattro gambe e provvisto di smorzamento delle corde trasmite pedale. Dal Salterio con meccanica “a tastiera” prende successivamente vita il Pianoforte. Il Salterio che utilizzo, opera del Liutaio Paolo Albertini, appartiene a una quarta tipologia sviluppatasi nel tempo: è costituito da una cassa piatta a forma di triangolo marcatamente acuto, presenta 35 corde in scala cromatica e viene suonato con l’ausilio di un archetto. Il suono penetrante che produce è ad alta risonanza, con un riverbero naturale simile all’effetto armonico generato dall’esecuzione in un’ampia cattedrale gotica.

Dulcimer “JONI”
Dulcimer "JONI"

Dulcimer “JONI”

Il Dulcimer si colloca nella famiglia dei salteri e, più che negli anni del Rinascimento -dove fu perlopiù utilizzato per l’accompagnamento di melodie popolari vocali, ebbe la sua massima diffusione in epoca medievale. Studi filologici confermano una stretta relazione fra il Dulcimer, il Clavicembalo e la Citara, certamente a motivo dell’uso di corde in metallo. Secondo lo studioso Sachs, a differenza del Salterio ordinario provvisto di corde in budello, il Tympanon (nome originale latino), Dulcimer (inglese), Hackbrett (tedesco) ne sarebbe la versione a corde metalliche. Il singolare tipo di Dulcimer da me utilizzato è costituito da una tastatura su cassa armonica piatta sagomata “a onde” con strozzatura centrale, e le 5 corde presenti – una delle quali funge da bordone – vengono pizzicate con le dita o a plettro servendosi inoltre di uno slide in legno, di metallo o di cristallo, per l’esecuzione di armonie e linee melodiche.

Flauto
Flauti

Flauti

Bansoori

Il Flauto traverso compare in Europa nel secolo XIII, soprattutto in Germania. Di provenienza asiatica, esso ha il foro d’insufflazione posto a lato dell’estremità superiore, questa a sua volta chiusa a tappo. Gli originali Bansoori, flauti traversi indiani di origine millenaria, sono realizzati in bamboo scelto, quest’ultimo strettamente legato da resistenti fibre naturali a scopo di rinforzo. Ne esistono di varie lunghezze a seconda della tonalità, ed i fori corrispondenti alle note sono praticati con del ferro rovente secondo precisi criteri tecnici. L’arcaico Bansoori veniva e viene tuttora utilizzato nell’esecuzione dei famosi “raga”, melodie sacre proprie del panorama religioso induista. Per tale ragione lo stesso strumento viene considerato sacro dalla popolazione indù e, nel vasto pantheon degli déi venerati, è nota la rappresentazione iconografica del dio Krishna, che è considerato il sommo suonatore di flauto e suona appunto un Bansoori. In alcune regioni remote dell’India, da parte di alcuni genitori devoti c’era l’usanza di affidare uno dei propri figli maschi presso un ashram – caratteristico monastero indù – dedicato a Krishna, perché venisse addestrato alla conoscenza del sacro strumento a scopo di preghiera. Una volta accolto all’interno del convento, ai bambini veniva praticata un’incisione alle mani in corrispondenza della giuntura tra l’anulare e il mignolo, per lederne i legamenti e consentire così di raggiungere il foro più distante corrispondente al piede dello strumento. Tale pratica veniva intesa non come un atto brutale ma come un simbolo di lealtà e devozione,un sacrificio in offerta al dio Krishna da parte dei novizi piccoli monaci. I Bansoori da me utilizzati sono realizzati in bamboo hawajiano scelto e sono opera del Maestro Liutaio Lorenzo Squillari. Il suggestivo canto di questo strumento si può ascoltare in alcuni brani di mia composizione, fra cui segnalo i seguenti: -“Pace selvaggia” -“Come la Luna” Questi due brani sono contenuti nell’album dal vivo “Riflessi sull’Acqua”, inoltre: -“Crypto zoe” contenuto nell’album “Spiagge della Mente”, e: -“Srijanti” contenuto nell’onirico album “Anusmara”.

Flauto di Pan

Detto anche “siringa”, deve il suo nome al dio Pan, dio dell’Arcadia, figura allegorica di un essere metà uomo e metà capro narrata nella grande mitologia greca. Egli suonava infatti un insieme di cinque o sette canne di varia lunghezza disposte in ordine decrescente, legate strettamente insieme a fascio o a forma di zattera, e tale strumento produceva note secondo scale pentafoniche o diatoniche. Nel secolo III il Flauto di Pan contava fino a 14 canne, e fu dalla struttura di questo curioso strumento che nacque l’idea di realizzare il primo Organo portativo, o “idraulos”. Il Flauto di Pan da me utilizzato è costituito da 22 canne in bamboo hawahjiano intonabili a diapason ed è opera del Maestro Liutaio Lorenzo Squillari. L’armonioso suono di questo strumento si può ascoltare nel seguente brano: -“Pace della Mente” contenuto nell’onirico album “Anusmara”.

Murli

Il Murli è un tipo di flauto dolce originario dell’India, realizzato di solito in legno di bamboo. Anch’esso utilizzato nell’esecuzione di alcuni “raga”, musiche appartenenti all’immenso patrimonio spirituale della cultura vedica, è fin dall’antichità uno degli strumenti a fiato indiani più conosciuti nella musica tradizionale.

Ottavino cinese

Flauto traverso a sei fori in bamboo, di struttura elementare e semplice realizzazione. Fu uno strumento molto diffuso nell’antica Cina sia nobile che popolare.

Sua interessante caratteristica è l’apice della testata con becco, che è costituita da una graziosa pagodina a tutto tondo.

Flauto dolce basso

Fin dal primo Rinascimento il Flauto “dolce” o “diritto” aveva raggiunto una certa conformazione che conservò in linea di massima fino alla seconda metà del secolo XVII. Per tutta la durata del Rinascimento i flauti venivano costruiti in un solo pezzo, ciò indipendentemente dalle loro dimensioni.

I primi flauti ad essere costruiti con la parte superiore staccabile furono probabilmente realizzati a Norimberga dall’artigiano tedesco Hieronimus Franciscus Kynseker, che operò perlopiù nella seconda metà del secolo. I flauti del primo ‘500 erano caratterizzati da una camera tura molto ampia e una struttura pressappoco cilindrica: ciò produceva una buona resa sonora nel registro fondamentale ma una particolare difficoltà nell’emettere le note più acute. Esiste tuttavia un documento esposto dal francese Jambe de Fer che testimonia già dalla metà del secolo l’elaborazione di innovativi flauti a due ottave complete – con criterio che oggi definiremmo “barocco” – e dalla cameratura più stretta. Nell’Italia del Rinascimento e per tutto il periodo barocco, il termine “flauto” si riferiva esclusivamente al flauto “diritto” o “dolce”. Secondo le illustrazioni dell’epoca, in particolar modo quelle redatte da Virdung, Agricola e Silvestro Ganassi tra il 1511 e il 1535, venivano descritte solo tre taglie di flauti “diritti”: Soprano in Sol2, Tenore in Do2, e Basso in Fa1. Riguardo al Flauto dolce basso, in un inventario di strumenti musicali (1520) del cardinale Ippolito d’Este figurava in elenco “un Flauto grande novo…” Fra gli strumenti appartenuti ad Enrico VIII, sull’inventario personale redatto alla sua morte (1547) viene descritto un grosso Flauto dolce di legno in una cassa di legno. Questi flauti erano probabilmente muniti di una sola chiave e costruiti in un solo pezzo. Ben presto, con l’aggiungersi di flauti di taglie sempre più piccole, si rese necessario cambiarne la nomenclatura: il Flauto soprano divenne contralto, mentre soprano divennero i flauti in do e in re, e così via. Lo stesso Flauto dolce basso del primo Rinascimento divenne “bassetto”, divenendo “basso” il Flauto in si bemolle. Il Flauto dolce basso con cui opero è costituito da tre pezzi in legno ed “esse”: modello solitamente utilizzato per le esecuzioni musicali in concerti da camera.

Quena

La Quena è un flauto “diritto” artigianale proveniente dall’America del Sud, fra gli strumenti più caratteristici dell’area andina che include la Bolivia, il Cile, l’Ecuador, il Perù e l’Argentina.

Secoli fa veniva costruito sulle ande peruviane ricavandolo da ossa di animali. Antichi reperti archeologici di questo tipo risalgono al 900 a.C. La fabbricazione della Quena è piuttosto semplice: è costituita infatti da una semplice canna di bamboo provvista di sei fori anteriori ed uno posteriore, e alla cui parte superiore – corrispondente al becco -viene intagliata un’imboccatura a tacca avente forma di U. Questo singolare strumento ha un’estensione di tre ottave, producendo delle sonorità molto calde e dolci nei toni gravi nonché una straordinaria e commovente espressività nei toni acuti. Una simile tipologia di flauti viene prodotta dai Nativi del Nordamerica: sono i cosiddetti Flauti di Cedro, chiamati così appunto perché prodotti con legno di cedro. La Quena che uso per alcuni miei componimenti è stata prodotta dal Maestro Liutaio Lorenzo Squillari, esperto fabbricatore di flauti esotici. Fra i brani in cui si può ascoltare l’emozionante suono della Quena, che porta l’ascoltatore a sensazioni di pacifiche isole oceaniche, propongo il seguente: -“Pace Selvaggia” contenuto nell’eclettico album “Spiagge della Mente”.

Whistle

Il Whistle è un flauto caratteristico appartenente alla cultura musicale celtica. Suonato con particolare tecnica propria della famosa tradizione, è suddiviso in almeno due tipi: il Thin Whistle, dai toni acuti, ed il Low Whistle per i toni gravi.

Questo flauto veniva anche chiamato affettuosamente “Penny Whistle” nell’epoca delle grandi migrazioni irlandesi, come pure in periodi successivi particolarmente gravosi, a motivo del suo basso costo sul mercato. Il Whistle tradizionale viene realizzato artigianalmente in metallo arrotolato e saldato, con il fischietto interno del becco solitamente in sughero o in altro legno tenero; ne esistono comunque anche modelli in altri materiali, quali la resina, con conseguente differenza di timbrica. Oggi i Whistle prodotti a livello industriale sono diffusi in tutto il mondo, e sono caratterizzati dal becco che di solito è in resina colorata. Strumento estremamente versatile e d’effetto, il Whistle è da secoli protagonista di vivaci reels e vorticose gighe, come di sognanti ballate che ci conducono direttamente alle nostre storiche radici musicali europee, in particolare a quelle della popolazione celtica irlandese. Alcuni brani dove poter ascoltare il leggiadro timbro di questo strumento sono: -“Samudra Shanti parte II” contenuto nell’album dal vivo “Riflessi sull’Acqua” -“Scherzo per Arpa e Flauto” contenuto nell’album strumentale “Suggestioni d’Arpa Celtica”.

CANTO
Canto

Canto

Iniziai fin da bambino a cantare, dedicandomi a quel Canto che intendiamo come forma di libera espressione, come semplice riflesso dell’anima. Mi sono sempre sentito affascinato dai Canti della natura animata e inanimata, dalle cicale ai molteplici uccelli come dai cromatici canti del vento, dell’acqua, del fuoco. Stimo molto le umane emozioni canore offerte attraverso monodie gregoriane, antichi canoni, madrigali, cori barocchi; proprio come in più recenti anni gli spirituals neri, le calde voci del soul e del blues, e infinite altre forme di Canto così emotivamente struggenti e coinvolgenti. Sono cresciuto in una terra dove dominano le alte montagne, e nei miei ricordi mi vedo ancora saltellare, bambino solitario, lungo il greto di freschi torrenti, intonando melodie nostalgiche conosciute in quelle valli. Rimanevo spesso incantato ad ascoltare e ad osservare il canto evocativo degli “Jodler” e le loro complesse tecniche canore. Nelle fredde mattine, diretto verso la scuola primaria con una cartella di cartone rivestito dietro le spalle, liberavo la mia ingenua voce bianca lungo tutta l’interminabile discesa percorrendo stradine sinuose fiancheggiate da alte immense conifere. Mi esercitavo, con curiosi esercizietti da me inventati lì per lì, a “centrare” correttamente le note della scala musicale, le relative terzine di ciascuna, il suo quinto grado, le sue ottave ascendenti, e così via. Un altro esperimento – che per me aveva più il sapore di una divertente sfida con me stesso, era di riuscire a ottenere con il canto gradi e toni sempre più alti, ridiscendendo fino ai più gravi e di nuovo viceversa. Specialmente quest’ultimo esercizio istintivo mi si rivelò molto utile in seguito quando poi, nella stesura di alcuni miei componimenti, constatai di poter spaziare con il canto entro una più ampia estensione di ottave. Ho sempre ritenuto il Canto, se ben dosato ed espressivo, un preziosissimo mezzo di comunicazione artistica a motivo delle profonde emozioni che esso può donare. Così come ho sempre considerato il ruolo degli strumenti musicali, nel mio personale caso, quali suggestivi supporti al Canto. Ai miei canori esercizi quotidiani, seguiti per forte passione e in modo rigoroso pur se ancora in modo inconsapevole fin dalla prima gioventù, affiancavo una costante attività fisica, cosa naturale e quasi d’obbligo crescendo in quei luoghi montani: fra l’altro amavo il duro lavoro all’aria aperta dei contadini sudtirolesi che vivevano nei masi d’alta quota, e ogni volta che potevo andavo con gioia ad aiutarli lavorando al fieno e pascolando per loro le mucche. Ne conseguì un irrobustimento dei polmoni, del diaframma, dei fasci muscolari di petto e addome, e dell’organismo in genere. Ho riscontrato un notevole beneficio negli anni successivi in quanto a resistenza, nell’energica pratica del Canto. Un ottimo suggerimento, avuto qualche anno fa da cortesi membri d’un noto ente lirico, è di assumere in gocce una varietà di erba, chiamata “erisimo”, in special modo prima di tenere un concerto canoro. Ho trovato molto utile questo suggerimento e vorrei trasmetterlo anche a voi. Molto utile è anche, ogni tanto, esercitarsi a dosare il fiato contenuto nei polmoni emettendo un suono gutturale pacato, molto lentamente in modo che tale emissione duri il più a lungo possibile; ed avendo inoltre l’accortezza di mantenere costante la medesima nota emessa all’inizio dell’esercizio. Personalmente amo cogliere la versatilità molteplice della voce, sia quando questa è limpida, sia quando attraversa periodi di raucedine. Entrambi i casi permettono al cantore buoni livelli di espressività, trasmettendo stati d’animo diversi in modi curiosi e spesso affascinanti. Fra i miei numerosi componimenti all’arpa, a motivo della ben nota musicalità di molte lingue in diversi contesti, ho elaborato alcuni testi cantati in latino, in sanscrito – arcaica lingua letteraria dell’India – in antico fiammingo, in gaelico, in russo, in tedesco, oltre che in italiano antico e moderno.

Armoniche ed Effetti
Armoniche ed Effetti

Armoniche ed Effetti

Le Armoniche a Bocca sono classificate tra gli strumenti musicali come aerofoni ad ancia. Pare che la prima Armonica a Bocca sia nata nel 1821 grazie alla creatività tecnica del tedesco Johann Buschmann. Essa è essenzialmente costituita da tre elementi: un corpo centrale, due placchette porta-ance rispettivamente nella parte superiore e inferiore del succitato corpo, i i due gusci esterni che fungono inoltre da cassa di risonanza. Il suono viene prodotto grazie alla vibrazione provocata dal passaggio dell’aria sulle ance di ottone. A differenza di altri strumenti a fiato, con l’Armonica a Bocca si possono produrre due note diverse inspirando ed espirando dallo stesso foro, e ciò lo rende uno strumento molto peculiare; oltre alla dolcezza generata dalla sua inconfondibile timbrica poetica. Esistono Armoniche a Bocca piccole o grandi, con scala sia diatonica che di tipo cromatico. Spesso questo gradevole strumento viene accostato al genere West Coast americano o alla Country Music, in realtà già nella seconda metà del secolo XIX era notevolmente diffuso. Oltre al Pianoforte e alla Chitarra, l’Armonica a Bocca è fra gli strumenti che hanno maggiormente contribuito alla grande storia del blues nero americano. Le Armoniche che utilizzo sono a scala diatonica solitamente a dieci fori e, a motivo del loro delicato timbro quasi umano e struggente, affido spesso il canto ad esse accompagnandomi con l’Arpa.